Per chi si avvicina allo smart working, le nuove pratiche di lavoro sembrano prestare il fianco a una serie di difficoltà che, alla prova dei fatti, normalmente si dimostrano falsi problemi. Poiché lo smart working comprende sia le logiche di lavoro agile/flessibile (lavoro fuori dall’ufficio) che di smart space (nuovi ambienti e strumenti, share desk, postazioni multiple), vale la pena di affrontare le “paure” più diffuse in entrambi gli ambiti.
«Lavorando lontano dall’ufficio e dai colleghi mi sento solo».
Forse può essere vero (è una questione molto soggettiva), ma quanti giorni alla settimana contiamo di trascorrere in lavoro agile? Considerato che di solito le aziende iniziano da un giorno massimo alla settimana, il problema si ridimensiona immediatamente. Inoltre, qualsiasi statistica disponibile sul lavoro agile indica come concentrazione e produttività salgano esponenzialmente lavorando lontano dalle distrazioni dell’ufficio. Si tratta di una “merce” preziosa, che può senz’altro essere barattata con un pizzico di “solitudine” un giorno alla settimana.
«Se non ci siamo tutti, non si può fare riunione».
Siamo sicuri? Paolo e Mario si possono collegare da casa in conference call e partecipare senza problemi. Anzi, non c’è nemmeno bisogno che Paolo partecipi. E forse anche Lucia (che è in ufficio) può evitare questa riunione. Ma soprattutto: ci siamo chiesti se è davvero il caso di indirla? La partecipazione a riunioni via conference call è ormai una prassi comune, dotata di immediatezza tecnologica pari a quella di una chat. Inoltre, gestire riunioni “ibride” rieduca tutti – soprattutto chi resta in ufficio – allo scambio: quando in riunione c’è una persona connessa in remoto, si fanno interventi più brevi e mirati, a tutto beneficio della difficile – e abusata – arte della riunione.
«Con il lavoro agile devo aumentare il controllo sulle mie risorse».
Davvero? E perché mai? Con un buon lavoro per obiettivi, la verifica del lavoro fatto non dipende da compiti e “controlli” quotidiani neanche in ufficio, quindi perché dovrebbe essere diverso per le giornate di lavoro a distanza? Se un capo sente il bisogno di aumentare il controllo sulle sue risorse, sta evidentemente manifestando un problema di mancanza di fiducia nei loro confronti. Molti capi sono convinti che chi fa poco e/o male in ufficio farà ancora peggio altrove. Niente di più falso: non c’è bisogno di nessuna indagine statistica per dimostrare come sia molto più facile “nascondersi” e non fare nulla in ufficio che fuori di esso.
«Come facciamo a gestire le emergenze a distanza?»
Anzitutto, cerchiamo di non abusare della categoria “emergenza”. Dai tempi della celebre “griglia di Eisenhower” in poi, le categorie di urgenza e importanza sono tradizionalmente fra le peggio interpretate (e comunicate) a livello organizzativo, motivo per cui aumentare la chiarezza può aiutare etichettare e gestire meglio una determinata situazione. In secondo luogo, le emergenze si gestiscono sempre e anzitutto cercando di prevenirle per quanto possibile, e questo vale tanto per il lavoro in ufficio quanto per quello da remoto. Infine, se davvero di emergenza si tratta e c’è un “incendio da spegnere”, anche ritornare di corsa in ufficio può essere giustificato. Ma deve davvero trattarsi di un incendio; in tutti gli altri casi, vale a dire il 99,9% delle casistiche reali delle aziende medie, questo non sarà necessario.
«Non trovo posto alla mattina».
Quanto un’azienda decide di compiere il “grande passo” verso un totale rinnovamento di sede o addirittura un trasloco, interi team di professionisti appartenenti a immobiliare, logistica e HR si dedicano a precisi calcoli dei flussi di presenze, assenze, trasferte e giornate di lavoro flessibile, in modo da stimare il corretto numero di postazioni necessarie per gestire il lavoro d’ufficio. È quindi virtualmente impossibile non trovare posto. Altra cosa è non trovare il “mio” posto, quello che – come si faceva a scuola, magari stando all’ultima fila – considero l’unico punto dell’ufficio adatto ad accogliermi. In un ufficio smart non esistono più posti personali. A chi ancora chi li desidera, tocca recarsi in ufficio molto, molto presto per accaparrarseli. Ne vale davvero la pena?
«Non trovo più i miei colleghi».
La logica dello share-desk implica una distribuzione delle persone negli spazi – e quindi anche nelle scrivanie – dell’ufficio su base giornaliera, in relazione alle attività da svolgere. Questo può, almeno apparentemente, rendere arduo individuare il collega che fino a poco tempo prima poteva essere trovato in un certo punto. Per sopperire a questa mancanza, è buona usanza degli uffici smart utilizzare aree che identifichino i gruppi di lavoro. Così, se Lucia non sarà seduta alla solita scrivania, molto probabilmente la troverò due file indietro, senza troppi disorientamenti. I telefoni, in grado di associare automaticamente persone e interni, possono aiutare nell’identificazione. I software di messaggistica assolvono a loro volta a questa funzione. E, se proprio Lucia è “introvabile” in ufficio, forse è perché sta lavorando in agile: niente di più facile che contattarla immediatamente con uno degli strumenti comunicativi che ho a disposizione.
«Perdo troppo tempo a occupare/liberare la scrivania ogni mattina/sera».
Mettere ordine sulla scrivania utilizzata, recuperando i propri strumenti di lavoro e ripulendola da cartacce e altri oggetti di scarto, non può richiedere più di cinque minuti. Un simile tempo è necessario alla mattina per riallestire la postazione. Siccome gli studiosi di efficienza lavorativa indicano che in una giornata tipo in ufficio ci interrompiamo in media ogni tre minuti, con un tasso di concentrazione ridotto ai minimi termini, siamo sicuri che siano quei dieci minuti “persi” fra mattina e sera a creare un problema? Vogliamo piuttosto chiederci quanti minuti perdiamo ogni giorno a causa di di distrazioni inutili generate da noi stessi o dai nostri colleghi?
«Come farò, senza il mio cestino e la mia cassettiera?»
Alzarsi e muoversi giova alla salute, soprattutto quando si passano troppe ore seduti di fronte a una scrivania. Condividere cestini, armadi e altri spazi dedicati alla raccolta di oggetti non rappresenta solo un’ottimizzazione dello spazio e una logica più sostenibile di coabitazione; offre anche un’occasione preziosa per alzarsi dalla sedia una volta in più e sgranchirsi le gambe. La nostra schiena sicuramente ne trarrà giovamento. Alla lunga, forse, anche il nostro umore.