Fotogramma da Office Space - di Mike Judge

Fiducia e responsabilità: le nuove regole smart della collaborazione

La relazione fra responsabile e collaboratore è il perno di ogni dinamica organizzativa e dunque anche del lavoro smart. Le categorie in base alle quali leggere il rapporto fra gestore e risorsa sono quelle di fiducia e responsabilità. Fiducia da parte del capo, responsabilità da parte del collaboratore. Ricordando ovviamente che, nel novantanove per cento dei casi, il responsabile è a sua volta un collaboratore rispetto a un ulteriore capo, vivendo quindi la relazione da entrambi i punti di vista.

Il concetto di fiducia è uno dei più scivolosi e ambigui, in ambito lavorativo come in ogni altra sfera della vita sociale. Di solito, ci fidiamo di chi conosciamo e di chi la pensa come noi; di chi si comporta proprio come noi ci comporteremmo. È questa un’accezione di fiducia piuttosto chiusa, basata sulla simpatia (comunanza di identici punti di vista), invece che sull’empatia (integrazione delle diversità). È un po’ come se intendessimo relazionarci solo con persone con cui abbiamo in comune il tifo per la medesima squadra di calcio, ipotesi forse buona per una serata in birreria, ma ricetta disastrosa per un buon equilibrio lavorativo. Come qualsiasi manuale di management potrebbe indicare, la fiducia lavorativa va costruita su criteri di collaborazione in grado di relazionare contributi diversi capaci di dar vita a un risultato collettivo più ampio di quello della somma degli apporti individuali.

Per cogliere – e anzitutto accogliere – una simile diversità è necessario saper valutare il più possibile oggettivamente il contributo di ogni collega. Questa capacità va coltivata allargando il campo rispetto ai tanti “lavoro solo con chi lavora come me” che si sentono pronunciare nelle aziende. Un buon gestore di persone deve essere in grado di dare fiducia anche ai collaboratori con cui non ha troppo in comune, a livello tanto di attitudine quanto di conoscenze ed esperienze lavorative. Non c’è niente di più lontano da un buon capo di chi sia convinto che l’azienda debba essere una “grande famiglia”. Le relazioni unicamente basate sulla simpatia non rappresentano rapporti professionali maturi e, in definitiva, possono condurre a valutazioni scorrette perché troppo soggettive.

In tema di smart working, a chi dovrebbe anzitutto essere offerta l’opportunità di lavorare anche lontano dall’ufficio? Forse ai collaboratori con cui si è più in sintonia? Di certo anche a loro, ma ancor prima a tutti gli altri, coloro il cui contributo è fondamentale proprio perché diverso e centrale per integrare il lavoro del capo e del team. E l’opportunità dovrebbe essere data senza indugi anche a chi ha prodotto performance al di sotto delle aspettative organizzative. Lo smart work può essere esattamente ciò di cui una persona ha bisogno per “sbloccarsi” e compiere un salto di qualità professionale.

Responsabilità significa, letteralmente, abilità di risposta. Saper rispondere delle proprie azioni di fronte al resto dell’organizzazione. Questa capacità implica disponibilità all’ascolto. Senza di essa, percepire stimoli e domande cui rispondere non è neppure pensabile. Grazie all’ascolto del contesto, un collaboratore può rendere sempre più ampio il perimetro di azione che gli è stato affidato, facendo propria una attitudine imprenditoriale. Non sarà il padrone dell’azienda (e di solito nemmeno il suo capo lo è), ma si comporta come lo fosse, mettendo in ogni scelta e azione quel qualcosa in più che arricchisce quanto sarebbe invece solo “execution”. Questo tipo di condotta è cruciale per il lavoro smart. L’autonomia decisionale e organizzativa che le nuove modalità di lavoro implicano si basa su una forte dose di propositività leggibile in chiave di imprenditorialità personale.

L’interscambio fra fiducia e responsabilità somiglia a una buona dinamica di negoziato: la disponibilità all’ascolto offerta da una parte deve trovare riscontro in una speculare disponibilità dall’altra. Quanto invece il negoziato parte con una mossa di attacco o difesa, è praticamente certo che l’altra parte adotti l’atteggiamento opposto. Difesa contro attacco, attacco contro difesa: fine del negoziato. Fiducia e responsabilità funzionano in modo simile: se un responsabile non dà fiducia, difficilmente potrà aspettarsi responsabilità e propositività; se un collaboratore non si assume responsabilità, difficilmente otterrà fiducia. Ma da chi prende inizio il gioco? Come in un negoziato, la mossa di apertura è libera; tuttavia, trattandosi anche un rapporto gerarchico e formalizzato, è al responsabile che spetta fare il primo passo. Ovviamente, in attesa di una pronta risposta.

Illustrazione: fotogramma da Office Space – di Mike Judge