Il cambiamento si sostiene con i fatti, ma anche con le parole. In tema di fatti, dare l’esempio è fondamentale a qualsiasi livello aziendale. È necessario che la visione strategica alla base di un percorso di cambiamento venga interpretata quotidianamente anzitutto da chi l’ha scritta, cioè dai vertici organizzativi. Sono loro i primi interpreti ed “evangelisti” del cambiamento. In mancanza di questo esempio, nessun “allineamento a cascata” potrà mai avere luogo e la cultura organizzativa resterà immutata, vivendo il cambiamento richiesto come l’ennesima moda passeggera. Se al vertice sta a cuore evitare questa deriva, occorre prestare attenzione a come funziona la cultura di un’organizzazione.
Secondo lo psicologo americano Edgar Schein, la cultura organizzativa è composta da “cose” che si vedono (prodotti, luoghi, vestiario), assunti espliciti (documenti, dichiarazioni, presentazioni) e assunti impliciti (il lato tacito e informale del lavoro quotidiano). Ogni nuova visione organizzativa nasce come assunto esplicito formalizzato dai vertici aziendali. Ma per diventare reale, cioè vissuta da tutti nel lavoro quotidiano e infine visibile anche attraverso le “cose” (ciò che il cliente o lo stakeholder anzitutto percepiscono), deve prima passare al vaglio degli assunti impliciti, con un processo lungo e complesso di “digestione”. Senza questo iter, qualsiasi nuova visione resta lettera morta, inchiostro nero su carta destinata a diventare straccia.
Seppur taciti, gli assunti impliciti risultano ben visibili. Le loro tracce si danno a vedere nei comportamenti, cioè il primo livello di lettura della partecipazione organizzativa. Ogni comportamento è specchio e modello per altri comportamenti, generando dinamiche di influenza e aggregazione tipiche della parte più informale delle organizzazioni. Per questo, tornando alla coerenza fra visione e fatti, i vertici aziendali e i manager devono essere i primi a dare l’esempio, incarnando in maniera chiara e corretta i comportamenti del cambiamento atteso. L’espressione “walk the talk”, indica un’attenzione alla coerenza che, quando non adeguatamente presidiata, fa immediatamente perdere credibilità all’intero sistema organizzativo. Ma non sono solo i capi a dover dare l’esempio, usando tutto il loro potere di influenza. Le opportunità per esercitare un’influenza positiva con il proprio comportamento sono moltissime, e vanno ben oltre gli aspetti formali legati a posizione e ruolo organizzativo. A qualsiasi livello, ogni addetto organizzativo è dotato di un riconoscibile potere di influenza, declinato in maniera diversa da persona a persona e a seconda del contesto.
I fatti non bastano, si diceva in principio. Ci vogliono anche le parole, vale a dire una forte attenzione a ogni aspetto comunicativo legato al cambiamento da sostenere. Parole intese come assunti espliciti, cioè discorsi, presentazioni, filmati, materiale promozionale interno e gadget. Ma anche, forse soprattutto, parole informali che emergono dalla cultura implicita e che imprimono un cambio di registro nella comunicazione verbale più quotidiana. Un esempio su tutti: che effetto organizzativo può avere un capo che affermi “oggi Paolo non c’è, fa l’agile da casa”? Quali reazioni immaginiamo nei colleghi più diretti e, con l’amplificazione delle “voci di corridoio”, nel resto dell’organizzazione?
Dire che oggi Paolo è assente conduce a una sua esclusione dalle pratiche collaborative. Se Paolo non c’è, dobbiamo fare a meno di lui. E, visto che è a casa, “non disturbiamolo”. Il che implica una speculare “disturbabilità” – leggi: interruzione continua – di chi è invece in ufficio. E Paolo, bollato come assente, come si sentirà? Distante, escluso dalle dinamiche di ufficio. Inizierà a cercare spasmodicamente, anche al di là delle sue reali esigenze lavorative, ogni contatto con i colleghi in ufficio. E sentirà il bisogno di farsi vedere costantemente attivo dal suo capo, cui manderà con ansia molte più e-mail e chat del dovuto. Ecco come un’apparentemente banale svista verbale (“oggi Paolo non c’è”) può provocare inutili – e stressanti – ridondanze comunicative. Ecco la più immediata riprova del fatto che, in tema di cambiamento organizzativo, in generale e nello specifico del lavoro smart, le parole contano almeno quanto i fatti.